Ricorso della provincia autonoma di Trento, in persona del vice presidente pro-tempore della giunta dott. Walter Micheli, a cio' autorizzato con delibera di giunta n. 10227 del 7 agosto 1991, rappresentato e difeso giusta mandato da lui conferito, con firma autenticata dal notaio dott. Mot, repertorio n. 56714 del 9 agosto 1991 dall'avv. prof. Umberto Pototschnig e dall'avv. Vitaliano Lorenzoni ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Roma, via Alessandria, 130, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, presso l'Avvocatura generale dello Stato, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 6 della legge 19 luglio 1991, n. 216, intitolata "Primi interventi a favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attivita' criminose" e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 171 del 23 luglio 1991, in relazione agli artt. 8, 9 e 16 dello statuto speciale per il T.-A.A., approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670. Nella Gazzetta Ufficiale del 23 luglio 1991 e' stata pubblicata la legge 19 luglio 1991, n. 216, intitolata "Primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attivita' criminose". Essa cosi' dispone: Art. 1. - "(1) Al fine di fronteggiare il rischio di coinvolgimento dei minori in attivita' criminose, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento per gli affari sociali, tenuto conto della situazione eccezionale determinatasi nel Paese, sostiene iniziative volte a tutelare e favorire la crescita, la maturazione individuale e la socializzazione della persona di eta' minore, al fine di eliminare le condizioni di disaggio mediante: a) l'attivita' di comunita' di accoglienza dei minori per i quali si sia reso necessario l'allontanamento temporaneo dall'ambito familiare; b) l'attuazione di interventi a sostegno delle famiglie, anche dopo il rienserimento del minore a seguito della eliminazione della situazione di rischio in particolare per l'assolvimento degli obblighi scolastici; c) l'attivita' di centri di incontro e di iniziativa di presenza sociale nei quartieri a rischio; d) l'attuazione di interventi da realizzare, previo accordo con le competenti autorita' scolastiche e in base ad indirizzi del Ministro della pubblica istruzione nell'ambito delle strutture scolastiche in orari non dedicati all'attivita' istituzionale o nel periodo estivo. (2) Il collocamento dei minori fuori della loro famiglia puo' essere disposto dal tribunale per i minorenni, ai sensi degli articoli 330, 333 e 336 del codice civile, su segnalazione dei servizi sociali, degli enti locali, delle istituzioni scolastiche e dell'autorita' di pubblica sicurezza". Art. 2. - (1) Ai comuni, alle province, ai loro consorzi, alle comunita' montane, nonche' ad enti, organizzazioni di volontariato, associazioni e cooperative di solidarieta' sociale che operino senza scopo di lucro nelle attivita' e con le specifiche finalita' di cui all'art. 1, primo comma, nel rispetto dell'equilibrato sviluppo della personalita' dei minori, sono destinati contributi a carico del fondo di cui all'articolo 1. (2) I contributi sono erogati previa dimostrazione dell'effettiva realizzazione delle iniziative e dei servizi, sui quali l'ente locale competente per territorio ha espresso il parere. (3) Gli enti, le organizzazioni di volontariato, le associazioni e le cooperative di solidarieta' sociale sono tenuti a trasmettere i propri bilanci e una relazione sull'attivita' svolta alla commissione di cui al quinto comma. (4) I contributi destinati ai comuni, ai loro consorzi e alle comunita' montane, previa relazione sulla rispondenza alle effettive esigenze del territorio e sulla corrispondenza ai criteri elaborati dalla commissione di cui al quinto comma, possono essere erogati anche per l'avvio di nuove iniziative. (5) I contributi vengono ripartiti sulla base dei criteri e dei requisiti determinati da apposita commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con decreto del Ministro per gli affari sociali, il quale la presiede personalmente o a mezzo di suo delegato, scelto tra gli esperti o tra i funzionari della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La commissione e' composta dal presidente, da un funzionario della Presidenza del Consiglio dei Ministri con funzioni di segretario, da un rappresentante per ciascuno dei Ministeri dell'interno, di grazia e giustizia e della pubblica istruzione, da tre docenti universitari esperti nelle problematiche dell'eta' evolutiva designati dal Ministro per gli affari sociali, nonche' da tre rappresentanti delle regioni e tre rappresentanti dei comuni, designati rispettivamente, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e dall'Associazione nazionale dei comuni italiani. La commissione formula al Ministro dell'interno la proposta riguardante la concessione dei contributi riferiti alle domande presentate. (6) Il Ministro dell'interno, con proprio decreto, dispone il finanziamento entro il termine di trenta giorni dalla formulazione della proposta. (7) La documentazione e la domanda da parte dei soggetti destinatari dei contributi di cui al primo comma sono inoltrate, a cura del comune e per il tramite della prefettura competente per territorio, entro il 30 marzo di ciascun anno". Art. 3. - (1) Per l'erogazione dei contributi e' istituito un apposito fondo per il triennio 1991-1993 per lo sviluppo degli investimenti sociali, aggiuntivo rispetto ai fondi previsti dall'art. 2 del d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 38. La dotazione del fondo e' determinata in lire 25.000 milioni per l'anno 1991 ed in lire 50.000 milioni per gli anni 1992 e 1993. (2) A valere sul fondo di cui al primo comma il Ministro dell'interno eroga i finanziamenti stabiliti con il decreto di cui all'art. 2, sesto comma". Art. 6. - "(1) Le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti locali e i loro enti strumentali e ausiliari possono concedere in uso gratuito agli enti, alle organizzazioni di volontariato ed alle associazioni beni immobili di loro proprieta' con vincolo di destinazione alle attivita' di cui all'art. 1. (2) L'uso e' disciplinato con apposita convenzione che ne fissa la durata, stabilisce le modalita' di autorizzazione ad apportare modificazioni o addizioni al bene". Per le ragioni che subito si diranno, la provincia ritiene che le disposizioni qui riportate siano ingiustamente invasive della competenza costituzionalmente assegnatale, in particolare per violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9 e 16 dello statuto speciale per il T.-A.A., nonche' del principio di autonomia finanziaria della provincia. Essa pertanto le impugna col presente atto per i seguenti motivi di D I R I T T O 1. - Violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9 e 16 dello statuto speciale per il T.-A.A., anche in relazione al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, al d.P.R. 1º novembre 1973, n. 687 e al d.P.R. 15 luglio 1988, n. 405. In base a queste norme la provincia autonoma di Trento ha competenza primaria in materia di assistenza e beneficienza pubblica, di assistenza scolastica, di attivita' artistiche, culturali ed educative locali. Ha competenza secondaria in materia di istruzione elementare e secondaria. La provincia di Trento assomma cosi' in se stessa tutte le diverse competenze che dovranno essere mobilitate dalla nuova legge 19 luglio 1991, n. 216 (salvo soltanto il collocamento dei minori fuori della loro famiglia, che e' riservato al tribunale per i minorenni). Cio' nonostante questa legge ignora totalmente la provincia autonoma, come quella delle regioni (sia a statuto speciali, che quelle a statuto ordinario). (Tamquam non essent.. .. ..). L'intero "progetto" delineato dalla legge n. 216 e' rivolto infatti "ai comuni, alle province, ai loro consorzi, alle comunita' montane - nonche' (lo dice testualmente l'art. 2) ad enti, organizzazioni di volontariato, associazioni e cooperative di solidarieta' sociale". Passa dunque sulla testa delle regioni e delle province autonome senza neppure sfiorarle, non riservando loro nessun potere autonomo, ne' nella concessione dei singoli contributi, ne' nella determinazione dei criteri e dei requisiti che vi devono presiedere e neppure - a livello piu' basso - nell'inoltro delle domande e della documentazione (in occasione del quale si sarebbe potuto supporre che le regioni e le province autonome sarebbero potute intervenire con proprie valutazioni). Infatti l'organo cui spetta la responsabilita' di vertice delle iniziative volute dalla legge n. 216/1991 e' costituito dal dipartimento per gli affari sociali, istituito presso la Presidenza del Consiglio (art. 1). Analogamente l'organo cui spetta disporre il finanziamento delle iniziative e' il Ministro dell'interno (art. 2, sesto comma) (e art. 3, secondo comma). Ancora: l'organo cui spetta stabilire gli indirizzi per l'attuazione degli interventi nell'ambito delle strutture scolastiche in orario non destinato alla attivita' istituzionale o nel periodo estivo, e' il Ministro della pubblica istruzione. E' altresi' di appartenenza allo Stato l'"apposita commissione" prevista dall'art. 2, quinto comma, della legge n. 216/1991, istituita per la determinazione dei criteri e dei requisiti necessari per ottenere i contributi promessi e per formulare al Ministro dell'interno la proposta riguardante la concessione dei contributi. Vero e' che di questa commissione fanno parte, a norma dell'art. 2, quinto comma, anche tre rappresentanti delle regioni. Ma e' pure vero: a) che, sebbene la loro designazione spetti alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, la norma e' tale da non assicurare una rappresentanza delle province autonome; b) che tale rappresentanza e' comunque assolutamente minoritaria (tre membri su un tale di 14); c) che trattandosi di una rappresentanza avente il medesimo peso di quella assicurata ai comuni, non le si puo' attribuire un significato particolare, legato alla peculiarita' delle competenze regionali. Quanto poi alla obiezione secondo cui negli organi misti Stato-regioni, ben si puo' ammettere una presenza marcatamente minoritaria di queste ultime, va tenuto presente che questa regola vale per la realizzazione dei casi di leale collaborazione, e non anche, come nel caso in esame, quando la competenza e' tutta e solo della regione o della provincia autonoma. In conclusione: le regioni e le due province autonome non compaiono dunque in nessuna fase e in nessun momento di applicazione della legge, ne' per le iniziative degli enti locali, ne' per quelle dei restanti enti od organizzazioni ricompresi tra i destinatari della legge. Questo fatto e' tanto piu' grave ed offensivo per le regioni e per le province autonome se si considera che all'"ente lo- cale competente per territorio la legge (art. 2, secondo comma) chiede invece espressamente di formulare un "parere" sulla effettiva realizzazione dell'iniziativa e dei servizi. Mentre nulla di simile viene riconosciuto alle regioni e alle due province autonome, con la ovvia conseguenze che viene a mancare, per la politica dei contributi da concedere ai fini della legge n. 216, ogni valutazione di sintesi a livello regionale: e cioe' proprio a quel livello istituzionale e ad opera di quella autorita' cui spettano il governo e la programmazione degli interventi nel settore. Non si puo' negare che la legge n. 216/1991 attiene ad attivita' che, almeno nel loro nucleo fondamentale, rientrano tra quelle tipiche dell'assistenza sociale, venendo anzi a coincidere con quelle che l'originaria formula statutaria ha chiamato "assistenza e beneficienza pubblica. In questo senso soccorre anche un dato formale e cioe' il coinvolgimento, quale responsabile primo degli interventi della legge il dipartimento per gli affari sociali. Ma decisiva, per l'interpretazione della legge e' soprattutto la indicazione degli obiettivi e degli strumenti. Quanto ai primi, bastera' ricordare che la legge n. 216/1991 li definisce mettendo l'accento da un lato (pars destruens) sulle esigenze di eliminare le condizioni di disagio del minore, dall'altro (pars construens) sull'esigenza di tutelare e favorire la crescita, la maturazione individuale e la socializzazione delle persone di eta' minore. Obiettivo, questo, che non si differenza in nulla, sostanzialmente, da quelli che la provincia autonoma si e' proposta da se', classificandoli nell'art. 2 della legge prov. 12 luglio 1991, n. 14, contenente "l'ordinamento dei servizi socio-assistenziali in provincia di Trento". Altrettanto si puo' ripetere per gli strumenti, dove figurano iniziative - come quelle delle comunita' di accoglienza, del sostegno alla famiglia, dei centri di incontro e di presenza sociale nei quartieri a rischio, degli interventi nell'ambito delle strutture scolastiche - che hanno tutte l'equivalente negli "interventi socio- assistenziali" gia' definiti e classificati come tali capo V della legge prov. 14 luglio 1991, n. 14. Si noti tra l'altro che questa legge riprende (e rende sistematica) la "disciplina degli interventi volti a prevenire e a rimuovere gli stati di emarginazione" di cui alla legge prov. 31 ottobre 1983, n. 35, che se ne occupa con particolare riguardo all'emarginazione giovanile ed al reinserimento sociale dei giovani (art. 1), nonche' ai minori "privi di conveniente sostegno familiare" (art. 5). Orbene la legge n. 216, anziche' incrementare queste attivita' nell'ambito dei servizi il cui ordinamento la provincia di Trento ha gia' definito, istituisce in buona sostanza un canale parallelo per iniziative che si aggiungono a quelle gia' regolate dalla legge provinciale, senza potersi coordinare con queste e anzi ignorandole. Una disciplina siffatta non solo e' contraria al principio del buon andamento dell'amministrazione, ma viola palesemente la norma di attuazione dello statuto speciale per il T.-A.A. che ha chiamato la provincia autonoma di Trento ad esercitare in proprio le attribuzioni dell'amministrazione dello Stato in materia di assistenza e beneficienza pubblica, attribuzioni esercitate sinora sia direttamente dagli organi centrali e periferici dello Stato, sia per il tramite di altri enti e istituti pubblici (art. 1 d.P.R. 28 marzo 1975, n. 469). Analogo trasferimento alle province delle attribuzioni dello Stato si e' avuto, e' appena il caso di ricordarlo in materia di assistenza scolastica col d.P.R. 1º novembre 1973, n. 687, e in materia di ordinamento scolastico con d.P.R. 15 luglio 1988, n. 405. Ne' va taciuto il fatto che la provincia autonoma di Trento, per mezzo della legge 31 ottobre 1983, n. 35 e della legge 12 luglio 1991, n. 14, ha gia' disciplinato la materia trattata dalla legge n. 216/1991; sicche' stando ai principi stabiliti da questa ecc.ma Corte, si dovrebbe concludere che quest'ultima legge non puo' e non deve trovare applicazione in provincia di Trento, a meno che non venga espressamente richiamata dalla stessa legislazione provinciale. Per giunta la legge n. 216/1991 non e' una legge che pretenda di essere, in parte qua, una legge quadro o legge di principi. Manca qualunque cenno a una legislazione regionale, attuativa di quella statale. Al contrario: la nuova normativa si presenta completa nel disciplinare un settore di interventi socio-assistenziali, per la cui attuazione non si richiede l'intermediazione della legge regionale. Accettando questa conclusione verrebbe da chiedersi se a soddisfare la provincia ricorrente non basti una pronunzia del giudice delle leggi che dichiari inapplicabile nel territorio della provincia la legge n. 216/1991. Ma la risposta non puo' essere che negativa, dovendosi escludere che l'accoglimento del presente ricorso porti a una penalizzazione delle provincia ricorrente, escludendola dai finanziamenti previsti. Resta un ultimo punto da chiarire. Si puo' prevedere facilmente infatti che controparte cerchera' di resistere al ricorso della provincia giustificando la legge n. 216/1991 come conseguente alla "situazione eccezionale determinatasi nel Paese" (art. 1). Nella giurisprudenza di questa ecc.ma Corte si rinviene infatti l'opinione che "gli interventi predisposti e realizzati dallo Stato siano da ritenere pienamente legittimi" quando si tratti di provvidenze che, pur avendo attinenza a materie di competenza regionale, presentino il carattere della straordinarieta' e i relativi finanziamenti siano aggiuntivi rispetto ai trasferimenti ordinari, richiedendo criteri uniformi per la loro attuazione e certezza che il fine venga raggiunto con pari incidenza in tutto il territorio nazionale (sent. n. 180/1991). In senso analogo si esprime la sentenza n. 459/1989, che fa salva la competenza statale nella predisposizione di un programma di prevvidenze straordianrie ed eccezionali in materia di parcheggi, in presenza di una "emergenza" che postula - si e' detto - l'esigenza di interventi rapidi ed immediati a salvaguardia di esigenze primarie dei singoli e dell'intera collettivita' nazionale. Si danno fondati motivi peraltro per negare che vi siano nella specie analoghi e sufficienti presupposti di straordinarieta' ed eccezionalita'. Anzitutto perche' l'intervento non ha carattere aggiuntivo, tanto e' vero che la legge s'intitola "primi interventi in favore.. .. ..". In secondo luogo perche' l'intero finanziamento delle iniziative previste dalla legge n. 216/1991 e' subordinato alla presentazione di una domanda da parte degli enti od organismi legittimati a farlo. In terzo luogo perche' ogni applicazione della legge n. 216/1991 richiede tempi verosimilmente lunghi per l'istituzione dell'apposita commissione ex art. 2, quinto comma, nonche' per la determinazione dei criteri e dei requisiti. In quarto luogo perche' i contributi sono erogati solo ex post e cioe' previa dimostrazione dell'effettiva realizzazione delle iniziative e dei servizi, e senza alcuna considerazione di tipo programmatorio. 2. - Violazione e falsa applicazione delle gia' citate disposizioni statutarie, anche in relazione all'art. 5 della legge 30 novembre 1989, n. 386. Quest'ultima legge, sostituendo gran parte delle disposizioni contenute nel titolo VI dello statuto speciale per il T.-A.A. ha espressamente stabilito tre principi di carattere generale: al primo comma: "le province autonome partecipano alla ripartizione di fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi di prestazioni in modo uniforme su tutto il territorio nazionale 5.. .. ..); al secondo comma: "i finanziamenti recati da qualunque altra disposizione di legge statale, in cui sia previsto il riparto o l'utilizzo a favore delle regioni, sono assegnati alle province autonome ed affluiscono al bilancio delle stesse per essere utilizzati, secondo normative provinciali, nell'ambito del corrispondente settore, con riscontro nei contri consuntivi delle rispettive province"; al terzo comma: "per l'assegnazione e l'erogazione dei finanziamenti di cui al secondo comma, si prescinde da qualunque adempimento previsto dalle stesse leggi ad eccezione di quelli relativi all'individuazione dei parametri e delle quote di riparto". Ebbene la legge n. 216/1991 contrasta manifestamente con tali disposizioni, malgrado che esse siano di valore costituzionale o comunque rinforzata, in quanto costituisce un corpus unico con le altre disposizioni di modifica puntuale degli articoli statutari contenuti nella legge n. 386/1989 (si veda in questo senso la sentenza dell'ecc.ma Corte n. 116/1991). 3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 6 della legge n. 216/1991. La disposizione, che si e' gia' riportata all'inizio del ricorso, appare anch'essa invasiva della competenza provinciale, perche' volta a riconoscere alla provincia una facolta' che quanto meno per i beni di sua proprieta', deve ritenersi gia' implicita nelle restanti sue attribuzioni. Cosi' come sta, sembrerebbe quasi che fuori di questo caso la concessione in uso gratuito di immobili provinciali non sia ammessa e che anche nel caso considerato la concessione non sia possibile se fatta con modalita' diverse da quelle indicate nel secondo comma.